Introduzione ai concetti principali della psicologia analitica di Carl Gustav Jung

“Il mondo nel quale siamo nati è brutale e crudele, e al tempo stesso di una divina bellezza. Dipende dal nostro temperamento credere che cosa prevalga: il significato, o l’assenza di significato. Se la mancanza di significato fosse assolutamente prevalente, a uno stadio superiore di sviluppo la vita dovrebbe perdere sempre di più il suo significato; ma non è questo il caso. Probabilmente, come in tutti i problemi metafisici, tutte e due le cose sono vere: la vita è – o ha – significato, e assenza di significato. Io nutro l’ardente speranza che il significato possa prevalere e vincere la battaglia”. Da: “ Sogni, ricordi e riflessioni”, Il Saggiatore, Milano, pp. 397-398.


di francesco martinelli


Jung nacque il 26 luglio 1875, in una cittadina svizzera di Kesswil. Proveniva da una famiglia molto religiosa, il padre era pastore protestante , anche il nonno e il bisnonno materni si erano occupati di teologia. Il nonno paterno era stato docente ordinario di chirurgia all’Università di Basilea e il fondatore della prima casa di cura per bambini malati di mente. Dopo una scelta travagliata, si laureò in medicina nel 1902. Divenne poi psichiatra. Nei momenti di riposo, lavorava in campagna, scolpiva e studiava. Viveva nella sua casa in modo spartano: senza telefono, senza elettricità e senza riscaldamento. Voleva vivere in semplicità.

Nel 1907 incontrò Sigmund Freud il quale comprese subito il grande valore del suo studente che divenne il suo più fidato collaboratore. Nel 1912, quando diede alle stampe “Trasformazioni e simboli della libido”, per le sue diverse idee sul concetto della libido, i due si separarono.

Dopo questo evento, Jung ebbe un periodo di forte destabilizzazione mentale, si sentì letteralmente crollare, come afferma lui stesso in “Sogni, ricordi..”. Questo fu il periodo in cui si confrontò col suo inconscio.

Jung decise di abbandonarsi agli impulsi dell’inconscio. E si mise a giocare. Praticamente incominciò a collezionare pietre , a costruire casette , castelli e villaggi. Lo faceva dopo pranzo, dopo aver visitato pazienti. Jung  sentiva che il suolo cedesse sotto di lui, si sentiva sprofondare  nell’abisso: fu sopraffatto dal panico. Per superare le sue paure, le sue angosce fece ricorso all’attenzione. Egli fece in modo di lasciare agire l’inconscio senza farsi sopraffare da esso. Jung stesso affermò che se si fosse lasciato vincere dalle emozioni sarebbe stato lacerato da esse, sarebbe stato distrutto dall’inconscio. In questo periodo scrisse  “Il libro rosso”, pubblicato da poco. Lo stile con cui lo scrisse ricorda quello di Nietzsche.

CONCETTO DELLA LIBIDO IN JUNG

Tale concetto, in Jung, non aveva nulla in comune con quello ipotizzato da Freud, che lo faceva rientrare negli stadi orale, anale , fallico e genitale. Egli riteneva che la libido  fosse un’unica energia che dalla persona va alla natura e al cosmo. Anche gli opposti di piacere e dispiacere che erano importanti per Freud, per  Jung  invece avevano un’importanza relativa. Egli paragonava i processi psicodinamici della libido ad un sistema chiuso di vasi comunicanti al cui interno si muovevano come  un motore autoregolantesi. Per  Freud, la dinamica energetica della libido all’interno dei sistemi dei vasi comunicanti è diretta dalle condizioni dovute alle estremità aperte del sistema dei vasi, vale a dire dal piacere e dal dispiacere. Quando una tensione  originata dall’esterno diventa troppo forte viene trasmessa all’interno del sistema e può determinare la rottura di un vaso che , nel caso in cui non vi sia una compensazione di pressione, emerge il  sintomo.  Nel pensiero di Jung, la concezione della libido, non ha una connessione diretta col mondo esterno capace di avere influenza decisiva  sulle condizioni di pressione che si trovano dentro il suddetto sistema. Esso  è chiuso e si autoregola. Jung denomina tale fenomeno col termine di “compensazione”.

C’è però un pensiero  gnostico, esoterico di Jung riguardo la libido, ed è quello  riportato nel quinto volume delle sue Opere, mi riferisco in tal caso alla sua opera “Simboli della trasformazione”. A pagina 95 egli afferma che  la libido, o energia psichica è in grado di generare,  a livello immaginativo, la divinità in se stessi usufruendo di modelli archetipici e, di conseguenza, l’individuo offre venerazione alla forza psichica che in lui agisce come energia dinamica. Ancora, un po’ più avanti, egli  afferma che avere un dio dentro di sé può avere molti significati, tra cui quello di essere certi della felicità e addirittura dell’onnipotenza.  Essere forieri della divinità dentro di sé significa, secondo lui, essere quasi Dio stesso. Poi fa riferimento ai miti e riti pagani per confermare questa sua idea. Più avanti, a pagina 97 della stessa opera, dice che quando la libido è rivolta dentro se stessi riesce ad evocare immagini intraviste in passato riportando ricordi di un tempo in cui il mondo era ancora senza complicazioni.

L’INCONSCIO COLLETTIVO

Jung affermava che mentre le più importanti formazioni dell’inconscio personale sono le imago e i complessi, l’inconscio collettivo è formato da istinti e dagli archetipi relativi ad essi. Anche qui si differenzia radicalmente da Freud.

Per dare un’idea di ciò che Jung intendeva con il termine archetipo , termine che per primo fu utilizzato da Plotino nella sesta Enneade, poi ripreso da sant’Agostino, da Dionigi Aeropagita, da Vico, da Marsilio Ficino e da altri, di cui parlerò in altri articoli, per dare un’idea, dicevo, bisogna pensare agli archetipi come “ forme funzionali”,  “entità viventi”. Essi sono visti come organi della psiche prerazionale e come forze generatrici. Gli archetipi condizionano, orientano e sostengono la formazione della psiche, si fanno presenti quando la mente è perturbata. Sono i costituenti dell’inconscio collettivo. Questo infatti  possiede contenuti  mitologici, motivi  e immagini che possono trasformarsi in modo autonomo, senza dipendere da influenze ambientali, non dipendono da precedenti apprendimenti.  Essi sono, secondo Jung, immagini comuni che esistono fin dai tempi antichissimi.

Caratteristica dei contenuti dell’inconscio collettivo è che i suoi contenuti non sono mai stati nella coscienza, la loro esistenza dipende dall’ereditarietà. Una prova dell’esistenza degli archetipi ci viene fornita da certi contenuti onirici. In “Simboli e interpretazione dei sogni”, egli afferma che , quando emergono sogni che sono insoliti, ossessivi e ricorrenti, le associazioni che fa la persona possono non essere sufficienti per giungere ad una interpretazione soddisfacente. “In tali casi dovremo tener conto del fatto, già osservato e commentato da Freud, che spesso in un sogno compaiono elementi che non sono individuali e che non possono aver origine dall’esperienza personale, vale a dire quelli che Freud denominò  ‘residui arcaici’: forme psichiche la cui comparsa non può essere spiegata da alcun elemento presente nella vita dell’individuo, forme che costituiscono i modelli primordiali, innati ed ereditati dalla psiche umana”. Pp.64-65.

Archetipi sono:  la Persona, l’Ombra, l’Anima, l’Animus, la Grande Madre, etc. Di questi archetipi ne parleremo nel prossimo articolo, perché bisogna porre l’accento su di un grande tema caro a Jung: quello del processo di individuazione.

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