Cent’anni fa nasceva Enrico Berlinguer, il più visionario e geniale dei comunisti

Enrico Berlinguer avrebbe compiuto oggi esattamente 100 anni. Su di lui sono state scritte copiose pagine, delineati ritratti del politico e dell’uomo. Il suo nome resterà per sempre legato a quello di Moro e al progetto del compromesso storico che era osteggiato da tanti suoi “compagni” come dai partiti dichiaratamente anticomunisti. Ma lui andò avanti e si dovette fermare solo davanti al rapimento e all’uccisione di Aldo Moro. Ad Enrico Berlinguer sono state dedicati convegni, libri, forum, piazze e persino canzoni, quella di Venditti sopra tutte. Nel giorno del suo centenario vogliamo ricordarlo così…


Oggi su molte testate giornalistiche e in tv ritorna il nome e la vicenda di Enrico Belinguer che nasceva il 25 maggio del 1922, esattamente un secolo fa. Morì l’11 giugno del 1984. La “questione morale” fu uno dei capisaldi del suo agire politico. Visionario, pragmatico, fu colui che con Aldo Moro stava facendo nascere in Italia ciò che ne avrebbe cambiato il corso. Federico Geremicca, nel giorno del centenario ne ha proposto sulle pagine de “la Stampa” un ritratto assai efficace che qui vi riproponiamo. “Oggi – ha scritto Federico GeremiccaEnrico Berlinguer avrebbe compiuto cento anni: e non è molto usuale il fatto che un anniversario che ormai dovrebbe esser materia per storici, rimandi – al contrario – un profilo di evidente attualità. Capita, in genere, per le vite che – in ogni epoca – continuano a rappresentare un esempio. O per le menti che abbiano accelerato il futuro, in una sorta di preveggenza. La parabola di Berlinguer racchiude, in fondo, entrambi gli aspetti. Mitizzati o contestati, certo. Ma sempre meno divisivi: il che, al tempo d’oggi, qualcosa vorrà pur dire. Per qualche anno, subito dopo la sua scomparsa, ci si è abbandonati all’idea che l’empatia che accompagnava il suo ricordo fosse dovuta alle circostanze drammatiche della sua morte in diretta, quei colpi di tosse, lo strazio e la voce che manca in quell’ultimo comizio padovano. Una fine a suo modo eroica, e gli eroi – come si sa – sono sempre giovani e belli. Già i suoi funerali, del resto, rappresentarono un evento zeppo di altri piccoli eventi: a cominciare dall’inatteso omaggio di un “capomanipolo” fascista (Giorgio Almirante) al feretro di un capo comunista. «Sono venuto a salutare un uomo onesto», si limitò a spiegare. Ma furono episodi come questo ad accrescere la stima e la simpatia bipartisan che hanno circondato a lungo il ricordo del Segretario del PCI: consegnandolo, però, a una memoria più eroica che umana, e relegandolo in una sorta di Pantheon dell’etica, con poco spazio per la passione e la caratura politica che avevano contraddistinto tutta la sua vita.

La lettura (o rilettura) dell’appena riedita biografia a lui dedicata (Vita di Enrico Berlinguer, di Giuseppe Fiori, con prefazione di Walter Veltroni) aiuta molto a contestualizzare pensiero e intuizioni del leader comunista, mostrandone la sorprendente attualità. Basterebbe rileggere le pagine, talvolta drammatiche, che ripropongono le tre linee guida – diciamo così – della sua azione politica: il lento distacco dall’Unione Sovietica («si è esaurita la spinta propulsiva») e la scelta favore della Nato; la ricerca di una larga unità politica, a cominciare da una nuova attenzione all’universo cattolico; l’approdo, infine, ad una «alternativa democratica» che avesse come fulcro e sua ragione l’affermarsi di una dilagante «questione morale». Non c’è voluto molto perché la cronaca annunciasse la fondatezza di quelle intuizioni: cinque anni dopo la morte di Berlinguer, il Muro di Berlino cade a pezzi, causa il totale esaurimento della cosiddetta spinta propulsiva; a seguire è Tangentopoli a confermare quanto fosse estesa e devastante quella questione morale denunciata dal leader PCI; e qualche tempo dopo, l’approdo finale della lunga marcia di gran parte degli eredi di quella storia è stata appunto la nascita di un nuovo partito che tentasse di tenere assieme ex comunisti e cattolici. Intuizioni che hanno prodotto effetti nel tempo. E che non finiscono di essere serbatoio per il riformismo di oggi. Si pensi – solo per stare alla strettissima attualità – alla svolta che Berlinguer impresse in materia di alleanze internazionali. Era il 1976 quando il leader comunista confidò a Giampaolo Pansa che, tra Patto di Varsavia e Nato «mi sento più sicuro stando di qua». Quanto è più semplice, per la sinistra riformista di oggi, affrontare tutte le implicazioni dell’invasione dell’Ucraina grazie alla profonda correzione di rotta impressa da Berlinguer (molto a sorpresa) quasi cinquant’anni fa? Naturalmente, è sempre possibile fare di più e meglio. E talvolta perfino prima, più in fretta insomma. Il PCI poteva arrivare prima alla rottura con Mosca? Emanciparsi più rapidamente dal regime comunista sovietico quanto avrebbe potuto favorire la crescita e l’approdo al governo della sinistra italiana? Sono anche questi interrogativo attuali, nella misura in cui gli errori del passato possono aiutare nelle battaglie del presente. Nella sua prefazione, Veltroni prova a rispondere, rifuggendo da sentenze e invocando la complessità della storia.

Nell’azione di Berlinguer «il solco restava quello di una continuità che poteva prevedere il rinnovamento ma non la cesura di tratti identitaria più profondi» scrive il primo segretario del Pd nella prefazione alla biografia di Peppino Fiori. E completa l’annotazione con una constatazione ineludibile: «Era un innovatore che si muoveva nel suo tempo… Portò al massimo livello possibile il mutamento e l’apertura del PCI in quel tempo e nei recinti di quella identità». E poi, certo, il compromesso storico, il progetto politico al quale resterà legato il suo nome e che di fatto finì il giorno in cui fu assassinato Aldo Moro. È strana la sorte di alcuni italiani che spesso si è soliti ricordare – per tante e talvolta diverse ragioni – come fossero una coppia. Non crediamo sia per sminuire, anzi. Forse accade perché quei due – non uno solo, ma quella coppia appunto – hanno finito per segnare una fase, una storia, trasformandosi in memoria. Falcone e Borsellino, per dire. Ma anche Coppi e Bartali, per dare il senso di quel che s’intende. Indissolubilmente legati. Come Moro e Berlinguer. E piace pensare che a loro, in fondo, non sarebbe dispiaciuto”.

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