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di garry kasparov
Poco alla volta, la guerra di Vladimir Putin contro l’Ucraina si è attenuata di nuovo tra la valorosa resistenza ucraina e il sostegno della comunità internazionale offerto sotto forma di armi, aiuti finanziari e sanzioni che prendono di mira la Russia, Putin e i suoi mafiosi oligarchi.
Per quanto ciò mi rallegri, è difficile non sentirsi amareggiati rispetto a quello che avrebbe potuto essere – e a quante vite avrebbero potuto essere risparmiate – se queste medesime iniziative miranti a dissuadere Putin fossero state intraprese anni fa.
Invece, adesso ci troviamo alle prese con un conflitto che ha ricadute globali che colpiscono tutti, dalla dipendenza dell’Europa dal petrolio e dal gas russi alle scorte di cibo di numerosi nazioni africane. Questo è il caro prezzo che dobbiamo pagare per fermare Putin adesso ed evitare di pagarne uno ancora più salato in seguito. È l’intramontabile lezione dell’acquiescenza.
Da molti segnali appare tuttora evidente che alcuni leader occidentali non hanno ancora imparato che isolare Putin e reagire alle sue azioni con la forza è l’unico modo per ottenere progressi duraturi. Il presidente francese Emmanuel Macron la settimana scorsa ha parlato della necessità di patteggiare con Putin, di offrirgli una via d’uscita che gli salvi la faccia. Venerdì scorso il Segretario americano per la Difesa Lloyd Austin ha telefonato alla sua controparte russa per perorare la causa di un cessate-il-fuoco, situazione che in teoria potrebbe sfociare in quel tipo di «conflitto congelato» che Putin adora perché gli consente di ignorare bellamente le restrizioni, consolidando il suo potere e procedendo al riarmo.
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Da tempo vado affermando che Putin è un problema russo e deve essere destituito dai russi. L’Occidente, però, deve smetterla una volta per tutte di aiutarlo. Ogni telefonata che legittima la sua autorità, ogni metro cubo di gas e ogni barile di greggio importati dalla Russia è una sorta di salvagente lanciato a una dittatura che, per la prima volta, sta vacillando.
Se lo scopo è salvare vite umane ucraine, come affermano i leader occidentali, allora l’unico modo per farlo è armare il più rapidamente possibile l’Ucraina con ogni arma richiesta dal presidente Volodymyr Zelensky. Un cessate-il-fuoco che lasci su suolo ucraino i soldati russi non farebbe altro che permettere a Putin di continuare il suo genocidio e le deportazioni segrete di massa di cittadini ucraini, come avviene fin da quando ha invaso l’Ucraina nel 2014.
Vi sono addirittura alcuni che ancora adesso si schierano apertamente al fianco di Putin. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán sta intralciando l’embargo di petrolio russo relativo alle importazioni dell’Unione europea, forniture che ogni mese immettono decine di miliardi di dollari nella macchina da guerra di Putin. Il leader turco Recep Tayyip Erdoğan sta minacciando di bloccare il processo di adesione di Finlandia e Svezia alla Nato, l’Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, anche se è verosimile che stia cercando di guadagnarci qualcosa in prima persona, come sempre. Negli Stati Uniti, il senatore Rand Paul ha congelato un nuovo pacchetto di aiuti finanziari d’emergenza all’Ucraina – denaro che, tra l’altro, sarebbe speso perlopiù per forniture americane.
Il 9 maggio, il presidente Biden ha firmato la prima legge degli affitti e prestiti dai tempi della Seconda guerra mondiale per accelerare l’invio di aiuti umanitari e di armi all’Ucraina. Il tempismo è stato perfetto: la firma è coincisa con la Giornata russa della Vittoria, la celebrazione annuale della sconfitta del nazismo che è stata trasformata in una perversione del patriottismo, per cui si considera «fascista» qualsiasi persona o qualunque nazione che si opponga a Putin. Il vero fascismo è speculare, come sanno bene centinaia di migliaia di russi in fuga dal loro Paese.
Per quanto riguarda i 144 milioni di russi che restano nello Stato di polizia di Putin, bersagliato ininterrottamente da più di vent’anni da una propaganda sempre più nociva e deleteria, dovranno compiere scelte difficili quando la facciata di stabilità di Putin si sgretolerà e in Ucraina incomberà una sconfitta. Negli ultimi giorni, una decina di attacchi agli uffici di reclutamento dell’esercito russo sono stati un indizio di quello che potrebbe accadere da ora in avanti.
La Legge originale degli Affitti e prestiti del 1941 permise all’Unione Sovietica di respingere l’invasione di Hitler. Oggi qualcun altro indossa gli anfibi militari, se gli Stati Uniti reclamano il loro onorevole retaggio di arsenale del mondo libero per aiutare l’Ucraina a sconfiggere l’invasione di Putin.
L’approvazione della nuova legge segnala anche che finalmente Biden si sta scrollando di dosso l’eredità dei tempi in cui era vicepresidente, nel periodo cruciale in cui Putin passò dall’essere un aspirante autocrate a dittatore a tutti gli effetti, mentre il mondo libero se ne stava immobile con le mani in mano. Nel 2008, quando ha invaso la Georgia, i leader occidentali dissero che era meglio mantenere rapporti economici e politici con Putin che infliggergli una pena. Questa è proprio la politica del coinvolgimento che ci era stato detto che alla fine avrebbe liberalizzato la Russia – e la Cina – collegandola al mondo libero.
Barack Obama ha incarnato quel trend. Da candidato, sotto le pressioni della campagna di John McCain, Obama aveva deplorato l’incursione putiniana in Georgia ma, da presidente, ha fatto presto a chiarire a Putin e ad altri dittatori che l’America avrebbe guidato ogni residua agenda per la libertà da dietro le quinte. Il «reset», oggi famigerato, non fece altro che rilanciare le quotazioni di Putin proprio mentre usava il pugno di ferro contro ciò che restava della società civile russa. In un dibattito del 2012, Obama derise lo sfidante repubblicano Mitt Romney per aver giustamente affermato che il nemico geopolitico numero uno dell’America era la Russia.
Questo comportamento portò al 2014, quando Putin si sentì imbaldanzito a sufficienza da respingere ogni trappola democratica in Russia, invadere l’Ucraina e, nel 2016, interferire nelle elezioni di Gran Bretagna e Stati Uniti. In Europa, la cancelliera tedesca Angela Merkel portò avanti il progetto dell’oleodotto Nord Stream 2, aumentando la dipendenza dall’energia russa quando, in verità, sarebbe stato indispensabile fare il contrario. Adesso lo si sta facendo, bruscamente e disperatamente. Forse, Obama e Merkel potrebbero recarsi insieme in visita a Kiev, per constatare di persona i danni che hanno contribuito a causare e per chiedere scusa al popolo ucraino.
L’esercito corrotto e incompetente di Putin eccelle solo in ferocia e nei massacri dei civili, ma ha avuto ben otto anni per trincerarsi nell’Est occupato a cui le forze ucraine adesso si stanno avvicinando. Ora che la guerra entra in una nuova fase, nella quale difendersi non basta più, vedremo quanto gli alleati dell’Ucraina si dimostreranno davvero devoti. La aiuteranno a vincere, ad annientare la macchina da guerra di Putin e a ricostruire tutto il territorio ucraino? Manterranno in vigore le sanzioni per accrescere le pressioni interne su Putin e per far capire alla sua cerchia di mafiosi che finché Putin resterà al potere non ci sarà possibilità alcuna per loro e per le loro famiglie di tornare nel mondo civile?
Il mondo libero che vinse la Guerra fredda si sta ricordando come si combatte, sta riscoprendo i valori che infondono significato alla lotta. Si tratta di una pessima notizia per Putin e per gli altri dittatori che, da Pechino a Teheran a Caracas, seguono da vicino l’evolversi della situazione. Gli ucraini stanno combattendo per le loro vite, per la loro nazione, per il mondo libero. Facciamo in modo che non lo facciano per procura, ma da partner.
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Garri Kimovič Kasparov, nato Vajnštejn, è uno scacchista e attivista russo con cittadinanza croata, fino al 1991 sovietico. Grande maestro, fu campione del mondo dal 1985 al 2000. Avendo conquistato il titolo a 22 anni e 210 giorni è il più giovane ad aver ottenuto il titolo iridato assoluto. Oggi è anche presidente della Renew Democracy Initiative.