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Pausini si è rifiutata di cantare “Bella ciao” mentre era ospite di una tv spagnola e tanto occorreva, in una campagna elettorale che il 25 settembre potrebbe portare al governo gli ex (ed attuali) fascisti, per capire in quanti e quali modi gli italiani, ancora oggi, non hanno compreso che l’antifascismo (compreso il suo “inno” più famoso del “Bella ciao”) dovrebbe essere il valore di ogni parte politica e sociale di destra e di sinistra. Il valore comune che rifiuta ogni dittatura. Ma Mussolini, che il fascismo lo inventò, è ancora il mito di molti italiani. E Meloni e Salvini (che nel frattempo sostengono Orban in Ungheria dove la dittatura si riattualizza) saranno votati da una destra in Italia che è ancora molto fascista con il danno che la sinistra avoca unicamente a sè quel “valore” che, invece, dovrebbe essere di tutti.
di francesco de rosa |
L’altro giorno Mirella Serri, nel pieno della polemica seguita all’idiozia mostrata dalla cantante Laura Pausini, ha commentato su “La Stampa” ciò che vale la pena di riportare qui. “Non canto canzoni politiche, né di destra né di sinistra». È stata categorica Laura Pausini quando si è rifiutata di intonare “Bella Ciao” dopo un’intervista alla tv spagnola. La richiesta di cantare quello che si può considerare l’inno della Resistenza sarebbe stata, secondo la cantautrice di Faenza, una richiesta di parte. E così ha scatenato un vespaio, infinite le polemiche (Pif è stato categorico: che «gran minchiata!»). Poi però, proprio dopo aver sollevato un polverone, Laura ci ha ripensato e ha twittato di non aver voluto eseguire un «brano inno di libertà ma più volte strumentalizzato in contesti politici diversi… Aborro il fascismo e ogni tipo di dittatura». Parole sante, ma forse arrivate con troppo ritardo. E non cancellano il dubbio che per la cantante “Bella Ciao” sia un inno di parte piuttosto che partigiano.
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A condividere il fatto che Laura si era sottratta a una “strumentalizzazione”, infatti, è stata ieri su questo giornale Flavia Perina. La libertà per la Perina è quella di non cantare. Secondo lei, a sostenere la legittimità della pretesa di esibirsi nel canto resistenziale sarebbero gli amanti degli «ordini da caserma», di un mondo che apprezza le «canzoni obbligatorie, gli alzabandiera obbligatori, il credere-e-obbedire». No, cara Flavia, non è così. “Bella Ciao” è “di sinistra”? Di sicuro questa non può essere considerata la sua connotazione principale: la lotta partigiana non è stata un’esclusiva della sinistra e si tratta di un canto che inneggia alla lotta per la libertà. “Bella Ciao” è divisiva? Sì, lo è. Fin dall’inizio quel motivo ha diviso il popolo della resistenza al nazifascismo dalle camicie nere e brune. Ha diviso gli italiani che si sono battuti o hanno approvato la nascita della Repubblica e della Costituzione antifascista dai nostalgici del Ventennio e dai criptofascisti odierni. Ma non si tratta di due “parti” con uguale dignità, impegnate in una contesa al fioretto. Dopo la sconfitta del fascismo, le idee dei suoi adepti non hanno più diritto di cittadinanza, non si possono mettere sullo stesso piano i combattenti per la libertà e coloro che andavano «a cercar la bella morte» a Salò, i repubblichini e i partigiani. “Bella Ciao”, molto amata in Spagna perché rilanciata dalla serie di successo “La casa di carta”, rappresenta la nuova Italia nata dalla guerra partigiana la quale, tra l’altro, ci ha liberato dall’invasione straniera. «Da qualche tempo va diffondendosi una tesi revisionistica… secondo cui è ora di finirla con la contrapposizione troppo netta fra fascismo e antifascismo… questo vuol dire metterli sullo stesso piano»: una considerazione molto attuale scritta anni fa dal grande filosofo e politologo Norberto Bobbio. Un’analisi che ha qualcosa da dirci anche rispetto all’attuale polemica su “Bella Ciao”. Come mai in tutto il mondo questa canzone è diventata simbolo di opposizione alle dittature, alla violenza, alle sopraffazioni, mentre proprio in Italia, dov’è nato, c’è ancora chi può ritenerlo un canto fazioso? Forse più che a quelle strofe dobbiamo guardare a cos’è l’Italia di oggi: un Paese, questo sì, ancora diviso, un paese dove quasi otto decenni dopo il varo della Costituzione democratica, il suo ripudio della dittatura in qualsiasi forma non è stato ancora introiettato da tutti. Perfino tutt’oggi c’è chi mette in “contrapposizione” quanti si riconoscono nella Resistenza e nella Costituzione e quanti non ne accettano i valori fondamentali. Ma parlare di destra e di sinistra, in questo senso, è una colossale mistificazione. La libertà politica è uno dei massimi principi della Carta. Invece prendere le distanze dalla Resistenza, dalla festa del 25 aprile, dal rifiuto del fascismo quale sia la forma in cui si presenta, dai principi della convivenza civile, tutto ciò non è legittima destra, cara Pausini e cara Perina, è porsi fuori dal contesto democratico e non ha alcuna dignità “paritaria”. Non si può rimanere neutrali fra la democrazia e la dittatura. La prima rappresenta una frattura con il passato fascista e l’inizio di un nuovo corso, irreversibile (si spera). La seconda, con la privazione delle libertà politiche, con le leggi razziali, con il mito della guerra sola igiene del mondo, è una pagina nera e chiusa, senza alcun diritto di tribuna nell’Italia di oggi. Ma da qualcuno, e di questi tempi anche da qualcuno di troppo, questo concetto elementare ancora non è stato digerito”.
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