Il dàimon di Socrate

di francesco martinelli


Questo è un argomento che ha affascinato molti studiosi di varie discipline, tra gli altri cito C. G. Jung, fondatore della Psicologia Analitica. Ma ci sono anche Aldo Carotenuto professore di Psicologia all’Università La Sapienza di Roma, scomparso da poco, e James Hillman, quest’ultimo fondatore della Psicologia Archetipica. Cechiamo di capire cosa sia questo dàimon da ciò che è riportato in due dialoghi platonici, l’Apologia di Socrate e il Teagete.

Nell’Apologia, 31d, leggiamo: “Forse potrebbe sembrare strano che io in privato vada in giro a consigliare queste cose e mi dia molto da fare, in pubblico invece non osi salire sulla tribuna davanti al popolo per dare consigli alla città. La causa di questo è ciò che voi mi avete sentito dire molte volte in molti luoghi, che in me c’è qualcosa di divino e demoniaco, come appunto Meleto ha scritto nel suo atto d’accusa facendosene beffe. Questo mi appartiene fin da bambino, una voce che, quando si presenta, mi distoglie sempre da ciò che sto per fare, non esorta mai. È questo che si oppone a che io svolga attività politica…Perché sapete bene Ateniesi, che se io da tempo mi fossi dedicato all’attività politica, da tempo sarei morto”… Quindi questo dàimon viene presentato come un segno, semeion, e anche come una voce, phonè. È un qualcosa di impersonale, e Socrate diceva ciò che non doveva fare, non ciò che doveva, come affermava invece Senofonte.

Altra forte testimonianza dell’azione del dàimon la ritroviamo in un breve dialogo, il Teagete, in cui viene detto come l’efficace insegnamento di Socrate dipendesse da questo “segno” la cui virtù si estendeva anche ai suoi amici. Socrate stesso testimonia come il suo dàimon abbia messo sull’avviso i suoi amici da pericoli futuri. Ecco un passo che si riferisce a quanto detto: “Quando si levò dal banchetto Timarco con Filemone di Filemonide per andare ad uccidere Nicia d’Eroscamandro, loro due soltanto sapevano del complotto; ma Timarco, levandosi, disse: “Che dici, Socrate? Voi statevene a bere, ma io devo andare in un certo posto. Tornerò tra poco, se mi va bene”. Ed io sentii la voce, e gli dissi: “Ma no, non andar via: ho udito la solita voce”. Ed egli si fermò.  Ma subito dopo si mosse di nuovo per uscire e soggiunse: “Ad ogni costo andrò, Socrate”.  E la voce si fece udire nuovamente, ed io di nuovo lo costrinsi a fermarsi. Infine, la terza volta, per non farsi scorgere, si levò senza dirmi nulla, di soppiatto, profittando di un momento in cui non gli badavo, e così scappò via e fece quello che lo condusse a morte.  Vorrei solo sottolineare che certe teorie psicologiche hanno travisato e interpretato in maniera scorretta queste esperienze ritenendole una forma di disturbo mentale. Ciò viene affermato perché non si tiene conto dell’esperienza religiosa né tanto meno si va a verificare se le cose intuite si realizzano concretamente.

Una visione interessante del dàimon la ritroviamo anche nel Timeo, dove si dice che : “Per quanto riguarda, poi, la forma di anima che in noi è la più importante, bisogna rendersi conto di questo, ossia che il Dio l’ha data a ciascuno di noi come un demone..”.

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