Attraversando il silenzio. Dialogo con Gabriele Montagano

Girolamo De Simone: Gabriele, siamo partiti dai “Nastri ritrovati” (Lp e cd) di Luciano Cilio. Hai avuto modo di ascoltarli?
Gabriele Montagano: Una grande operazione… forse la più importante di questi ultimi anni.
Girolamo De Simone: Ci sono voluti effettivamente lustri, ma lo sforzo è ripagato dalla costruzione di una visione del futuro che possa risarcire la sofferenza e il dolore per la perdita di un compagno di viaggio, la cui vicenda (disinteresse e incomprensione comunitaria) riguarda da vicino anche i nostri percorsi individuali.
Gabriele Montagano: dolorosa attesa per dare vita ai suoni…
GDS: è un dolore che va oltre i suoni, come qualsiasi consapevolezza…
GM: …di essere non ora, non qui, ma in un luogo che non è ancora dimora.

GDS: E l’attesa di oggi, dove la rivolgi?
GM: Adesso vorrei tanto lavorare con una grande orchestra. Ma so che resterà un desiderio sordo. La mia dimensione naturale è il silenzio; è come se non ci fossi. Come sai, il silenzio è  Il mio mondo.

GDS: Parlami degli anni della formazione: musicisti e altre figure che hanno segnato la tua crescita e la tua musica. Sarebbe bello un cenno sulla triangolazione Evangelisti – Scelsi – Montagano…
GM: Mi sembra che tu abbia colto la mia collocazione… Giacinto Scelsi non era molto amato, forse nemmeno da Aldo Clementi, che lo considerava un outsider… me lo raccontava Aldo Brizzi nelle passeggiate romane degli anni Ottanta. Il suo percorso e i riconoscimenti internazionali dimostrano che la cultura è rizomatica e democratica. Si riprende la sua libertà e non si fa soggiogare dai salotti provinciali che dispensano certificazioni di qualità.
Scelsi mi fu presentato da Brizzi, il quale volle fortemente quest’incontro, sicuro di quello che sarebbe successo. Mi accompagnò da lui… aspettammo pochi minuti, e quando finalmente arrivò con un sorriso smagliante, Scelsi disse ad Aldo: “Finalmente il tuo amico di cui mi hai tanto parlato”. Quasi a riprenderlo per aver tardato quest’incontro. Aldo disse: “Maestro, Le presento un amico che Lei conosce bene”, e ci lasciò soli.  Non capii subito questa presentazione ma mi fu chiara appena dopo, quando Giacinto Scelsi, ascoltando il mio lavoro, sorrise e disse: “Questo sono io, carissimo. Il tuo suono è un’attesa. Bisognerà aspettare ancora trent’anni”.   Fui felice di questa scoperta.
GDS: La cosa strana è che Scelsi dimostrava in quel modo le sue doti visionarie, quasi esoteriche. Infatti, “Evento” ha visto la luce solo oggi, e verrà presentato a Napoli il 5 aprile 2019, al Museo Nitsch di Peppe Morra, insieme agli altri nostri lavori maturati attorno all’area e alla ricerca di Luciano Cilio.
Mi racconti, ora, qualcosa di “Trieb”, altro tuo lavoro importante?
GM: Mi ricordo del flautista Luciano Carotenuto, ai tempi del gruppo “Ricerca e sperimentazione” (mi sovviene che al Gruppo aderivi tu, Eugenio Fels, Giusto Pappacena e altri compositori e interpreti di musica contemporanea). Ricordo che quando Luciano suonò la versione per flauto di “Trieb”, scoppiò in lacrime.  Mi disse che era un brano che lo sconvolgeva. Ne immagino la realizzazione per orchestra, con una massa sonora che ti travolge. Oggi quella musica potrebbe rappresentare un omaggio alla democrazia: dal caos dei suoni individuali alla quiete dell’ascolto reciproco…

GDS: Questa tua osservazione mi fa venire in mente una frase di Luigi Nono: “È molto difficile ascoltare. Molto difficile ascoltare, nel silenzio, gli altri. Altri pensieri, altri rumori, altre sonorità, altre idee. Quando si ascolta, si cerca spesso di ritrovare se stesso negli altri. Ritrovare i propri meccanismi, sistema, razionalismo nell’altro. E questa è una violenza del tutto conservatrice. (…) Risvegliare l’orecchio, gli occhi, il pensiero umano, l’intelligenza, il massimo dell’interiorizzazione esteriorizzata. Ecco l’essenziale oggi”. (L. Nono, 1983)
GM: Nono è stata la mia grande fascinazione sonora. Il senso etico e politico di ogni suono, per me, nasce dall’incontro con Nono. Dallo studio delle opere di Nono nasce il mio suono doloroso, come frattura tra il dire e il dicibile. Nell’aprile del 1987 partii per Venezia, come sempre in treno, per incontrarlo di persona. Le mie partenze per raggiungere gli autori che volevo incontrare richiedevano un rito di avvicinamento. Rapito dai suoni di Nono intravedevo nella sua produzione una poesia e un impegno civile che mi affascinavano. “A Pierre. Dell’azzurro silenzio inquieto” (1985), fu una rivelazione per me. Ancora una volta, era stato il mio amico Aldo Brizzi a sollecitare l’incontro. A Brizzi devo il dono dell’incontro con le persone che avrebbero segnato la mia storia.  Nono era  un interlocutore  privilegiato, perché conosceva bene quel suono che avevo costruito con “Evento”, e la modalità di realizzazione era da lui condivisa nelle ultime partiture. Mi accolse tra i suoni continui dell’acqua, che certificavano una leggerezza acustica. Austero ed accogliente, mite e sempre in ascolto, dopo aver analizzato “Evento” mi portò a prendere un caffè, e tra una analisi del suono e il racconto della visione estetica del suo “Prometeo” si fermò per dire: “ecco, il tuo suono ha una densità  liquida”. Nono colse in un attimo la cifra stilistica che sarebbe stato poi il centro di tutto il mio lavoro teorico futuro.

GDS: Hai scritto, a margine di un tuo manoscritto: “La musica è l’oggetto puro della mente. È l’idea praticabile della coscienza. È il luogo della memoria che si diffonde nel tempo riconciliato del vissuto” (Gabriele Montagano).
GM: Mi piace seminare tracce del pensiero e del suono. Risponde alla mia idea di presenza nel mondo, che solo chi accoglie con intimo respiro può condividere. Questa tracciabilità  è  un silenzioso e sonoro presenziare che non posso ricondurre a me solo.

GDS: Tornando a “Evento”…
GM: Nel 1988 frequentavo il laboratorio di musica informatica del Conservatorio di Frosinone, dove  mi recavo ogni settimana partendo da Napoli.  Nel viaggio in treno vivevo ogni volta l’incanto di avvicinarmi a quel laboratorio di “strani suoni” che mi stava ospitando. Fu Bianchini a dirmi di farmi “sentire” dopo un nostro incontro estivo sull’ecologia del suono. In una delle mie presenza al laboratorio di informatica musicale organizzammo l’ascolto di “Evento” con maestri ed allievi. Ci fu un commento unanime alla fine dell’ascolto: “con quale software avevo realizzato quei suoni?”. Ebbene, tutto ciò  che si stava ascoltando di “Evento” era stato realizzato esclusivamente con strumenti acustici e voci umane. Andavo fiero di aver prodotto suoni che si spingevano nel digitale pur restando nell’analogico. Dal quel momento non tornai più  al Conservatorio di Frosinone. Considerai chiuso il mio apprendistato digitale.

GDS: L’interesse per la follia: recentemente mi sono occupato di una Sinfonia ancora inedita di Sergio Piro, so che anche tu ti sei interessato a chi allora era senza voce…
GM: Sì, questa è  materia nostra… anche noi siamo “prossimi” alla follia, cura per la nostra indecenza, grumo di parola soffiato alla fine della notte. I folli hanno la musica dentro. Ballano con i suoni… Allora, quando feci le foto con i ‘matti’ del Frullone, registrai con loro un brano per pianoforte batteria e voce. Mi sono sentito a casa.
GDS: Dove è reperibile questo brano?
GM: È in una registrazione video che realizzai in quegli anni. Nastro, video e audio. È stato visto una sola volta all’Università di Napoli, al Dipartimento Scienze relazionali. È  un lavoro molto duro da vedere e da ascoltare… ma la memoria è scrigno. Si tratta di una Partitura per voci morte e ripresa video, trio di  improvvisazione sonora, immagini in dissolvenza. È  stato il mio omaggio a Celan “cercando di ascoltare chi tace”, dalla voce al suono, attraversando la soglia. È la parte più recondita di me, che alimenta il mio silenzio.

GDS: Abbiamo parlato di Giacinto Scelsi e di Luigi Nono. Mancano all’appello Luciano Berio e Franco Evangelisti…
GM: Io e Franco Evangelisti abbiamo avuto lo stesso percorso. Lui scrisse non più di una dozzina di brani (alcuni furono ritrovati nelle sue carte dopo la morte: non erano stati inseriti in catalogo); poi si ritirò in silenzio perché non sopportava il consumo dei suoni. Il mio lavoro attraverso il suono è un viaggio tra lo sperimentalismo di Berio e il fascino etico/politico del suono di Nono; dalle architetture degli avanguardismi sperimentali di Berio al suono sospeso di Nono. E dal suono nascente di Nono a quello unico di Scelsi. Un viaggio per sottrarsi dai suoni e restare sulla soglia di ciò che può  accadere.

GDS: … Non a caso ho intitolato all’ Incantesimo della soglia l’operazione discografica e musicale che ci accomuna, nel tentativo di costruire un polo per le avanguardie musicali a Napoli. Ora, se puoi parlaci del tuo incontro con il pianoforte, un percorso per nulla residuale: è musica che va carezzata, curata, inviata a chi voglia suonarla…
GM: Per quello che riguarda il pianoforte, ciò che ho sempre pensato di fare con i miei brani è di liberarlo dalla sua natura percussiva, per ‘lasciare andare’ i suoni imprigionati dallo strumento.
Visione del suono oltre la sintassi.

(Girolamo De Simone)