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Accade per cambiare vita, per infelicità, per la ricerca della propria vocazione, per insoddisfazione, noia. O anche per un lavoro migliore e più vicino a se stessi, alla vocazione che si sente. Si calcola così che ogni anno 2 milioni di italiani cambino vita. Lo abbiamo definito come il fenomeno delle ‘Grandi dimissioni’ che è arrivato anche in Italia ed è ora, dopo uno studio di Francesca Coin pubblicato nel luglio 2023, tema e argomento di un libro dell’autrice imolese Matilde Gulmanelli che, tra molte altre cose, dice: “I giovani cercano equilibrio tra professione e privato, il benessere personale è messo al primo posto”.
di francesco de rosa |
Qualcuno è pronto a ribadire che la vita passa in fretta. Che ad ogni età oggi la vita vuole il suo senso. Che sprecarla correndo dietro ricchezza e successo diventa una vita vissuta d’ipoteca, rubando spazio a se stessi, agli affetti, ai legami che fanno storia e memoria e fanno parte di noi. All’indomani della pandemia da covid il mondo occidentale, scosso dal profondo, dava vita, con epicentro gli Stati Uniti d’America, ad fenomeno che fu definito “Yolo economy”: acronimo che letteralmente dice “You Only Live Once” (“si vive una volta sola”). Una pletora di domande a cui ciascuno individualmente sul tema del propria e sulla resa di gratificazione fu chiamato a rispondere ad ogni livello di retribuzione. “Meglio continuare a lavorare per il proprio attuale datore di lavoro perché ti offre un impiego stabile ma poco gratificante oppure cambiare rotta ed inseguire i tuoi sogni e le tue ambizioni, rischiando l’incertezza, ma con la possibilità di una vita più appagante? Fu questo uno dei dilemmi creato dalla Yolo economy. Divenendo, in poco tempo, una vera filosofia di vita pratica molto diffusa soprattutto tra le giovani generazioni, che non hanno paura di lasciare un lavoro stabile per dedicarsi ai propri progetti personali e a passioni che sentono davvero proprie. La pandemia ha accelerato questa tendenza, spingendo così molti a riflettere su ciò che conta davvero nella vita e a dare priorità alla realizzazione personale e al benessere rispetto alla sicurezza economica. Un’onda crescente di lavoratori, provenienti da settori diversi e con motivazioni variegate, decideva, a partire dall’estate 2021, di abbandonare il proprio impiego in modo massiccio ed improvviso, per andare alla ricerca di una nuova identità professionale. Per qualcuno è già stato un lento e doloroso processo di presa di coscienza, per altri una necessità improvvisa; c’è chi ha deciso che doveva cambiare vita e chi è stato gentilmente accompagnato all’uscita. Great resignation, «grandi dimissioni», che non solo hanno sconvolto il tradizionale concetto di stabilità lavorativa, ma hanno anche posto interrogativi cruciali sulla natura del rapporto tra datore di lavoro e dipendente, sia dal punto di vista salariale che valoriale, culturale e identitario. Con la pandemia ci siamo ritrovati di fronte a uno stravolgimento dei tempi e dei modi di lavoro, dallo smart working al ripensamento degli obiettivi personali ed esistenziali, fino alla pratica di nuovi modelli di work-life balance. Per capirne il fenomeno era già arrivato nel luglio del 2023 il libro di Francesca Coin dal titolo “Le grandi dimissioni” edito Einaudi. Ci ha descritto con puntualità che a partire dagli Stati Uniti un’ondata di dimissioni ha cambiato il mondo del lavoro rivelando tutta la disaffezione per i modelli organizzativi tossici degli ultimi decenni. I dati sono chiari, incontrovertibili. Negli Stati Uniti 48 milioni di persone hanno deciso di licenziarsi nel 2021, oltre 50 milioni l’anno successivo. Questa ondata di dimissioni silenziose cominciata durante la pandemia – e ribattezzata con un termine oggi di moda quit quiting – da un’idea della “rigidità” che il mercato del lavoro oggi oppone alle aziende nell’organizzazione dei servizi e della produzione. Un cambiamento enorme anche al netto dei fattori macroeconomici in parte eccezionali dello scenario post-covid (l’ambizioso American Rescue Plan Act di Biden, l’unbundling e la crisi delle filiere, ecc). Un “rifiuto del lavoro” che ha assunto per lo più forme non eclatanti, con milioni di offerte di lavoro cadute nel vuoto o l’estrema riluttanza ad abbandonare lo smart working per tornare in ufficio, ma anche simbolicamente consistenti, come l’ingresso, per la prima volta, del sindacato in una sede di Amazon. Un’onda che ha raggiunto l’India e la Cina e che nella controcultura giovanile fa condensa con le aspettative tradite di una generazione, quella della Y e dei Millennials, che raggiunta la maturità si scopre azzerata secondo ogni parametro – stipendio, risparmio, qualità e tempo di vita, prospettive future – rispetto a quelle precedenti. In Grandi Dimissioni (Einaudi, euro 17,50 stampa, euro 9,99 epub ), si è scritto soprattutto di questo: un testo rigoroso già arrivato alle ristampe dalle mani, dicevamo, della sociologa Francesca Coin che ha voluto analizzare il fenomeno a partire dalla mole delle statistiche e da un’ipotesi interpretativa precisa: l’emergenza pandemica ha rappresentato solo la cartina al tornasole delle condizioni di stress lavorativo accumulato a cui sono stati sottoposti interi comparti come quelli, in particolare, della logistica, della ristorazione e dei servizi, confermando quanto le indagini sociologiche già suggeriscono da anni. E cioè che la disaffezione verso un modello economico e organizzativo che negli ultimi decenni ha puntato sullo sfruttamento del personale e la sua responsabilizzazione verso il brand aziendale senza dare nulla in cambio non è mai stata così alta. La seconda parte del suo libro è dedicata alle interviste sul campo, il focus si sposta in Italia dove, dopo trenta anni di deregulation lavorativa, si continua a dare la colpa al Reddito di Cittadinanza se non si trovano camerieri sottopagati per la stagione estiva. Qui Coin allarga con effetto e da subito la prospettiva storica, andando indietro nel tempo, agli anni Venti del Novecento e alla nascita del fordismo, per restituirci in grandangolo la complessità delle relazioni e del conflitto capitale lavoro. La “fuga dal lavoro” emerge così come un comportamento non nuovo ma socialmente vecchio come il capitalismo e forse rimasto troppo a lungo fuori campo, ai limiti della nostra percezione politica e intellettuale. Da questa prospettiva anche il libro di Coin si è fatto strumento prezioso per comprendere il grado di sofferenza che attraverso il mondo del lavoro sale oggi dalle nostre società.
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Dagli Stati Uniti il fenomeno è arrivato in Europa non meno che in Italia ad interrogarci su quello che il lavoro deve rappresentare nella nostra vita oltre il banale quanto sempre reale diktat della necessità di un sostentamento a cui pure dobbiamo provvedere. Ed è proprio capire il fenomeno italiano della “fuga dal lavoro” che arriva oggi il libro di Matilde Gulmanelli per capire una volta di più che cosa ha mosso le grandi dimissioni, e cosa muove ancora fenomeni come il quiet quitting, il quiet hiring e il quiet firing. Attraverso la lente della generazione dei grandi dimissionari e alcune loro testimonianze dirette, il volume di Matilde Gulmanelli si immerge nei contesti che hanno contribuito a plasmare e diffondere il fenomeno anche in Italia, ponendo interrogativi critici sulla soddisfazione lavorativa, sull’equilibrio tra vita privata e professionale e sulla resilienza delle aziende di fronte a un tale flusso di risorse umane. Così il primo giorno del dicembre nella sua Bologna Matilde si alza con la strana sensazione addosso di dare una svolta a ciò che le riguarda: Matilde è direttrice marketing di un’azienda farmaceutica, viaggia molto per lavoro, guadagna bene ed è professionalmente realizzata. Tuttavia, qualcosa che non va c’è. Decide di dire basta, di seguire quello che vuole veramente, e si licenzia da un lavoro sicuro che aveva sempre amato. Fonda un’agenzia di comunicazione con un socio che ha vissuto un’esperienza simile alla sua, e parallelamente apre “AnacletoLab”, un laboratorio di idee e di azioni concrete, un luogo per dare conforto a tutti coloro che decidono di cambiare professione. Ecco la storia di Matilde Gulmanelli, che è l’autrice imolese del volume “Fuga dal lavoro, il fenomeno delle Grandi dimissioni in Italia” (Edizioni Lavoro), emblematica perché potrebbe essere quella di moltissimi italiani: nel periodo successivo alla pandemia, quell’onda crescente di lavoratori che ha abbandonato il proprio impiego, seguendo il fenomeno di Great registration di fatto osservato per la prima volta negli Stati Uniti da Anthony Klotz, professore di Management alla University College London. Così qualcosa di sé e del suo libro Matilde Gulmanelli lo racconta in qualche risposta a domande precise e concrete. Per esempio…
Ci illustra i numeri del fenomeno delle ‘Grandi dimissioni’ in italia?
«Secondo i dati del ministero del lavoro, nel 2021 sono stati ben due milioni i dimissionari nel nostro Paese e sono cresciuti a 2.200.000 nel 2022. C’è stata poi una flessione nel 2023 (1.598.000), ma osservando i dati Istat del 2024, si nota un ritorno ai numeri del 2021».
Riesce a fare un identikit del dimissionario tipo?
«Non si può affermare che le grandi dimissioni siano prerogativa maschile o femminile. È interessante però osservare le differenti motivazioni: secondo una ricerca condotta dalla Cisl (con cui ho lavorato assieme per questo volume), su un campione di 17mila dimissionari, la necessità di cure familiari riguarda maggiormente le donne, mentre la ricerca di un lavoro più stimolante è stato un motivo addotto in maggioranza dagli uomini».
Non si tratta dunque solo di motivazioni economiche?
«Assolutamente no, rispetto al passato è cambiata la mentalità».
Si spieghi meglio.
«Siamo nella fase della Yolo Economy (You only live once): i giovani ricercano un equilibrio tra vita professionale e privata, e il benessere personale è messo davanti. Il mondo delle imprese dovrà adeguarsi a questa tendenza, che non è in calo».
«Sebbene il fenomeno non sia attribuibile a una fascia univoca, c’è sicuramente una tendenza: secondo dati Istat, i dimissionari sono inseriti nel mondo del lavoro da meno di vent’anni (nel 2021 il 45% del totale aveva tra 25 e 35 anni), appartengono all’area del centro-nord e per la maggior parte sono laureati».
E per le differenze di genere invece? Lei ha riportato all’interno del volume diverse testimonianze di persone contente della propria scelta: ha conosciuto invece chi si è pentito ed è tornato indietro?
«Secondo uno studio della Cisl, il 93% del campione coinvolto era contento di avere preso la decisione a un anno di distanza, e anche tra le mie conoscenze confermo il dato».
Il suo volume ha una dedica speciale...
«Sì, tutto il ricavato dalla vendita del libro andrà a Rafli Aps, l’associazione che ho creato in nome di mio fratello, che è mancato ad aprile durante una battuta di pesca in apnea. L’associazione si occupa di promuovere lo sport per soggetti fragili».
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