“Nessun artista basta a se stesso”: viaggio nella poetica musicale di Pasquale Mosca

“Nessun artista basta a se stesso”: viaggio nella poetica musicale di Pasquale Mosca

di Girolamo De Simone

GDS: Pasquale Mosca, è nota la tua attività pianistica e compositiva, svolta all’insegna di una rara professionalità, splendida cultura del tocco, raffinatezza nelle formule scritturali. Puoi raccontarci qualcosa sulla tua formazione musicale? Quali sono stati i tuoi insegnanti, e quanto hanno contato nel tuo percorso successivo?

Pasquale Mosca: Mi inviti a tuffarmi in un piacevole passato. La mia formazione musicale è iniziata sotto la guida del M° Antonio Sorrentino ed è proseguita, presso il Conservatorio di Napoli con la pianista Anna Maria Pennella sotto la cui guida mi diplomai nel 1991. Concluso il percorso ordinamentale, continuai a studiare con altri due validissimi insegnanti: Massimo Bertucci ed Oxana Yablonskaja. Parallelamente agli studi pianistici intrapresi quelli di lettere all’Università di Napoli dove nel 1996 mi laureai sotto la guida di Agostino Ziino, con una tesi di ricerca sulla musica a Napoli nella seconda metà dell’Ottocento, con particolare riguardo all’applicazione del sistema tetracordale di Nicola D’Arienzo. Avvertendo, di lì a poco, l’esigenza di conoscere i meccanismi costruttivi della musica, decisi di studiare Composizione. Ammesso a frequentare il corso al Conservatorio, entrai nella classe del M° Gaetano Panariello, con cui proseguii fino al conseguimento del diploma di II livello. Ognuno di questi validissimi docenti ha contribuito con pari efficacia alla mia formazione. Di ognuno ho cercato di scandagliare una personale idea del bello e di tutti conservo un piacevole ricordo, in cui la gratitudine si accompagna al profumo di un’età (quella dei vent’anni) segnata dall’energica fame di ‘imparare a suonare e suonare per imparare’. Ed ancora, ricordo con piacere il lavoro profuso per la cura del suono, per l’identificazione di un personale pianismo e per la ricerca di un repertorio congeniale. Ricordo con affetto Francesca Seller di cui ho seguito i corsi al biennio di Didattica della Musica e Didattica Strumentale. In conclusione il saldo dei miei incontri formativi è stato certamente positivo e sono convinto che forse non abbia ancora cessato di dare i suoi frutti. Custodisco, come gemme preziose, i loro insegnamenti.

GDS: L’ambiente del Conservatorio: luci e ombre della formazione accademica… Ricordo, in un giro di interviste effettuate molti anni fa, che tutti i compositori affermarono esserci una discrasia tra lo studio delle formule e l’avvio alla vera e propria ricerca di una propria caratterizzazione, come se la ricerca di un linguaggio individuale fosse altra cosa rispetto alla frequentazione di formule canoniche tradizionali… Cosa ne pensi?

Pasquale Mosca: Penso che, innanzitutto tutto, sia necessaria una storicizzazione del concetto di musica. Nei secoli passati esisteva uno stretto legame tra la società e la produzione di musica, ragion per cui quest’ultima incontrava facilmente il consenso del pubblico. Col passare degli anni questo idillio si è sfaldato, forse consumato, e la produzione musicale ha cominciato così a percorrere le sue strade, se non in solitudine, certamente in rada compagnia. La formazione accademica è ancora troppo imbevuta della tradizione ottocentesca rischiando così di acuire ancor di più quella spaccatura tra l’accademicamente corretto e la sensibilità del tempo. E non mi riferisco certo solo ai programmi di studio o alle poche opportunità d’esecuzione date ai giovani compositori, ma soprattutto allo scarso spazio concesso ad essi per la conquista di una originale scrittura. Di una scrittura libera che, benché memore delle regole, non sia costretta a piegare la propria espressività ai canoni del passato, i quali dovranno sempre e solo porsi come una delle possibili vie ma non certo costituirsi quale meta. La conquista di un proprio stile, di una scrittura che ci identifichi è la cosa più difficile per ogni artista. Per approdare a ciò bisogna prima aver combattuto con i propri dèmoni, siano essi le regole, la paura di non piacere o peggio ancora non piacersi. Certamente esiste questa discrasia tra lo studio delle formule e l’avvio di una propria ricerca e caratterizzazione ma certamente, se è vero che una maggiore libertà espressiva sin dal periodo formativo aiuterebbe, è pur vero che non è possibile immaginare di trovare rimedio a ciò semplicemente scrollandosi di dosso secoli di regole e di contrappunto. Una formazione più aperta alla sensibilità del tempo sicuramente aiuterebbe ma mai potrebbe sostituire quel processo di maturazione intima che passa attraverso l’apertura e la donazione di ciò che si è agli altri. L’arte – insomma – non si autoalimenta, e nessun artista può avere la presunzione di bastare a se stesso.
Chiarirsi a se stessi, dunque, e comunicare all’altro senza l’esigenza dell’irriverenza o del sussiego accademico, è il viatico per la conquista di una scrittura libera, personale. E ciò, sono certo, può avvenire, per così dire, tanto nella tonalità di do maggiore quanto nella più astratta e informale partitura.

GDS: Recentemente hai tenuto un concerto in Campania, al Santuario di Madonna dell’Arco, uno dei più importanti per l’Ordine domenicano e per la spiritualità tutta. Puoi rievocare quell’esperienza? Ero presente al concerto, e ricordo che intercalasti brani noti a tue composizioni, passando dagli uni agli altri con grande naturalezza, ma sempre con quella raffinatezza interpretativa che connota i più sensibili e bravi musicisti…

Pasquale Mosca: Grazie per avermi ricordato di quel concerto, è stato un evento a cui sono molto legato. Ricordo che, in una sala gremita, alternai brani per pianoforte e voce, in cui accompagnavo un bravo tenore, a composizioni per pianoforte solo. Tra i brani da eseguire a pianoforte mi piacque operare delle rielaborazioni di alcuni pezzi noti e proporre delle mie composizioni. Tra queste ultime eseguii Despues e Capriccio, una riduzione per pianoforte solo da un originale per orchestra da camera edito nel 2016. Ero particolarmente emozionato perché, quella sera, veniva eseguita anche, in prima assoluta, l’aria per tenore e pianoforte A Zacinto, su testo dell’omonimo sonetto di Ugo Foscolo. Ricordo con piacere che fu accolta molto favorevolmente.

GDS: Puoi raccontarci un tuo progetto futuro: la tua musica potrebbe essere raccolta in una monografia, un disco che possa presentarla al pubblico e consegnarla alla memoria comunitaria in modo omogeneo, e soprattutto ‘autentico’, nel senso che la selezione avrebbe il crisma d’autore che tu stesso potrai consegnarle… A cosa stai pensando? A quali musiche e per quali geometrie?

Pasquale Mosca: Hai colto nel segno. Sto lavorando ad un progetto monografico che raccoglie i principali lavori degli ultimi dieci anni. Ci saranno brani per pianoforte solo ed altri – con il supporto di alcuni ‘compagni di viaggio’ – per pianoforte e altri strumenti.
Sarà l’occasione per fare un bilancio degli ultimi anni di produzione e l’opportunità, come di chiarire a me stesso alcune dinamiche creative. Sarà un insieme di brani che rappresentano varie stagioni e stati d’animo ma accomunati dalla chiarezza d’ascolto (almeno così spero).
Da quando ho cominciato a scrivere ho attraversato, come molti, influenze e tendenze, ma ho sempre perseguito la semplicità e la chiarezza, tanto della scrittura quanto del conseguente ascolto. Forse, inconsciamente, ho sempre inteso ciò come gesto di apertura e ponte di dialogo.

Il pianista-compositore Pasquale Mosca

GDS: Siamo in una fase di grande tristezza per la musica tutta. Come vedi il futuro della proposta musicale dal vivo, e come quello dell’insegnamento? Tu sei anche un valente didatta, e diversi pianisti, sotto la tua guida, hanno vinto i loro primi concorsi. Sei oggi pessimista (come ti confesso essere io) oppure prevale in te una visione ottimistica, la speranza che ci si possa riprendere? Persino nel nostro Paese?

Pasquale Mosca: Certo già prima dell’emergenza pandemica la produzione musicale dal vivo non godeva di ottima salute e ovviamente mi riferisco soprattutto alla ‘musica classica’. Per assistere ad un’inversione di tendenza bisognerebbe operare un cambiamento di rotta delle politiche culturali del nostro paese. È difficile appassionarti a qualcosa che non conosci, e fino a quando i concerti di musica ‘classica’ saranno pochi, sarà sempre esiguo il numero delle persone che ne potranno fruire e, forse, ad essa appassionarsi.
Per quanto riguarda l’insegnamento, non vorrei sembrare pessimista, ma ritengo che anch’esso stia vivendo una fase di decadenza. Lo studio della musica richiede rigore e sacrificio e in cambio, purtroppo, garantisce poco o nulla. Ecco che alcuni giovani, benché di talento, abbandonano perché demotivati, mentre altri, più caparbi, sfidano la sorte, consapevoli di dover andare all’estero per completare la loro formazione ed impiantare la loro carriera.
Potrebbe migliorare la situazione nel nostro Paese? Certamente sì. Abbiamo tutte le potenzialità per fare come e meglio degli altri paesi. Dunque sì, fortemente sì… Perdonami: i musicisti sono sempre un po’ visionari!

Un recente concerto del pianista-compositore Pasquale Mosca, al Santuario domenicano della Madonna dell’Arco, in Campania

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