A volte vorrei scriverti, ma mi si strazia troppo il cuore!

Martedì 27 agosto andrà in scena, alle ore 21, nell’atrio del Duomo di Salerno, “La pianista perfetta” di Giuseppe Manfridi, con Guenda Goria in veste di attrice ed esecutrice al pianoforte, regia di Maurizio Scaparro con ausilio di Lorenzo Manfridi e Felice Panico. Lo spettacolo, ospitato dall’Irno Festival diretto da Tiziano Citro, è costruito sulla figura di Clara Wieck, pianista e compositrice dell’Ottocento, moglie di Robert Schumann. Il virtuosismo di Clara fece sì ch’ella girasse l’Europa come concertista, senza tuttavia rinunciare a un ruolo di madre. Dopo la morte di Schumann, durante il successivo sviluppo di una florida carriera, mise in mostra anche vivaci doti da polemista, soprattutto nei confronti di Wagner, che anche Brahms criticava per la sua “musica dell’avvenire”, ricca di cromatismi, forse semplice, ma geniale e innovativa.

“La pianista perfetta”, cui avremo modo di assistere in apertura della tranche estiva salernitana dell’Irno Festival, è una proposta accattivante, perché ci consentirà di confrontarci con uno snodo storico che è ancora ben lontano dall’essere chiarito o spiegato, e soprattutto di ascoltare le musiche dei protagonisti di un intreccio affettivo e musicale tra differenti sensibilità artistiche. Da un lato, infatti, c’è sempre stata la narrazione di una Clara profondamente innamorata del marito: al ricovero in una clinica per malattie mentali, lei annota nel diario – e in molteplici lettere – di un profondo dolore per la malattia di Robert. D’altro canto, però, mai sono stati storicamente chiariti i veri motivi del declino rapidissimo di Schumann, alla comparsa di una figura giovanile e geniale, sorta di alter-ego: Johannes Brahms, che piomba nella loro vita coniugale come un meteorite, il frammento di una stella o di una cometa, tal qual era agli occhi di Schumann (che difatti lo aiuta ad affermarsi nel mondo musicale dell’epoca).

Proviamo quindi a narrare, purtroppo frammentariamente, un controcanto alla versione ‘elegiaca’ di quegli eventi, sicuri che una visione prospettica possa arricchire e incuriosire quanti si recheranno al Duomo di Salerno il prossimo 27 agosto.
Negli ultimi due anni di vita, Schumann segnava linee su linee, arabeschi, sugli Atlanti che gli venivano inviati al ricovero: erano tracciati del suo desiderio di fuga da Endenich, il manicomio nel quale aveva prima voluto esser curato, e poi invano richiesto d’essere liberato.
Schumann aveva disturbi alle orecchie da tempo, ma la situazione era parsa precipitare, come già accennato, sei mesi dopo l’entrata in scena di Johannes Brahms, giovane astro nascente della composizione, segretamente innamorato di Clara, la quale, a partire dal 4 marzo 1854 (data del ricovero) rivede il marito Robert solo sul letto di morte, ufficialmente a causa delle proibizioni dei medici.
È questa una circostanza che pare inspiegabile se si pensa al grande amore che li aveva legati, e alle lotte del marito per ottenere dal padre di lei il permesso di sposarla. Valutiamo un po’ la consecutio degli eventi, con l’ovvia precisazione che essa viene riportata sulla scorta delle lettere edite, ed è pertanto suscettibile di smentita, come del resto ogni ricostruzione storicamente lontana nel tempo. Ho più volte segnalato, infatti, che più lontano è situato un fatto, meno la sua lettura potrà essere rizomatica, avendo la concrezione lineare trovato una sedimentazione lunga nel tempo. Quanto più invece gli eventi sono a noi vicini, più efficacemente una visione rizomatica, cioè prospettica, non lineare, potrà aiutarci a modificarne la percezione comune. Quindi, la possibilità di cambiare l’interpretazione di un fatto nella nostra percezione, si fa maggiormente complessa in ragione del suo allontanarsi nel tempo, nonostante la presenza di nuovi rinvenimenti o nuovi documenti, la cui ‘lettura’, peraltro si fa meno evidente proprio in ragione di quella distanza.

Consecutio: Brahms appare nella vita di Robert e Clara 6 mesi prima del tentativo di suicidio (secondo altri di semplice fuga verso il Reno) e il ricovero di Schumann. Brahms ha in quel momento circa vent’anni. Ciononostante, Clara gli affida l’incarico di fare da tramite tra lei e lui. Clara e Robert non si salutano quando lui parte “volontariamente” (le virgolette stanno ad indicare la precarietà di una ‘autentica’ volizione in caso di difficoltà fisica o mentale) per essere internato nel manicomio di Endenich. Clara, trincerandosi dietro il divieto dei medici, per due anni e mezzo non fa visita a Robert (a meno che ulteriori documenti non provino il contrario). Ci va solo quando è agonizzante, due giorni prima della morte.
La prima festa musicale, per eseguire un brano di Brahms, viene però organizzata da Clara Wieck 23 giorni dopo il ricovero del marito, il 27 marzo 1854 (questa e altre informazioni le mutuo da un bel saggio di Filippo Tuena). Invece, l’ultima composizione realizzata prima del ricovero, e dedicata da Schumann a Clara, non risulta mai eseguita da lei (erano le variazioni sul celebre tema dettato dal ‘fantasma’ Schubert). Solo a luglio, a cinque mesi di ricovero, Robert pronuncia per la prima volta il nome di lei, e scrive sul diario: “Clara, ti voglio bene: pure non eravamo soli tu ed io: intorno a noi esistevano persone che stimavo, altre che disprezzavo (…)”.
I due si scrivono delle lettere, quando Robert è in condizioni di farlo (da queste lettere non traspare la gravità della malattia. Presto infatti, e fino alla morte, non ne scriverà affatto). Spesso in queste lettere entrambi citano Brahms, come se fosse un perno, una figura ormai presente in modo ineludibile, e che in effetti ‘media’ tra i due. A circa un anno dal ricovero, Robert Schumann desidera andar via dal manicomio. Lo dice a Brahms che lo scrive a Clara. Lei annota i suoi dolori emozionali sul diario, ma non va a sincerarsi di persona dello stato del marito, che di lì a poco precipiterà fino al silenzio, e poi nell’ineluttabilità della morte. In una lettera del 5 maggio 1855 confiderà a Robert: “a volte vorrei scriverti, ma mi si strazia troppo il cuore!” (Clara Wieck)

La ‘prigionia’ di Schumann appare evidente in un’altra missiva, scritta anni dopo da Joseph Joachim, giovane e talentuoso violinista appartenente anch’egli alla ‘cerchia’ di casa Schumann: “Quando volli andarmene, (Robert) mi prese con fare segreto in un angolo (anche se non eravamo osservati) e disse che voleva andarsene da là; doveva andare via da Endenich, perché le persone lì non lo capivano per nulla, né cosa intendesse, né cosa volesse. Mi si spezzò il cuore! Al commiato mi accompagnò ancora per un tratto sul viale e mi abbracciò poi. (Un infermiere ci seguiva da lontano). Le altre due volte si affievolì ogni parvenza di speranza; era visibilmente provato nel corpo e nello spirito. Con un’agitazione febbrile sfogliava le sue composizioni più vecchie, con le mani tremanti le rendeva alla tastiera con un garbuglio, che straziava orecchie e cuore! Quel grande uomo doveva aver sofferto senza limite” (Joseph Joachim, lettera del 1899 a Eduard Hanslick).
GIROLAMO DE SIMONE
www.girolamodesimone.net

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