Parthenope, Alfredo Troise e Sergio Siano. Ovvero quando un dipinto “profetizza” una fotografia

C’è stato un tempo in cui l’eco del canto e del grido degli abitanti di Napoli scorreva come una colata di lava e giungeva fino ai viaggiatori via mare; era il 1838 quando Hans Christian Andersen annotava sul suo diario di viaggio la fascinazione per la bianca città solare, passeggiando tra “ strade strette e tortuose e palazzi magnifici, tali che se fossero situati su una piazza un po’ più ampia, sarebbero considerati suntuosi”. La testimonianza di viaggio evoca l’immagine eterna di Parthenope, città di fuoco e di mare, che vive nel canto e nel fragore dei suoi abitanti. Era il tempo di ieri, che si confonde nella sospensione di un oggi incerto e smarrito.


di daniela marra | museologa


Le nuvole abbracciano la cima del Vesuvio, quando gli abbracci restano un ricordo sopito, si travestono di sguardi dai balconi, mentre i gesti come baci si rincorrono tra le finestre dei palazzi in una danza onirica che avvolge la città. Parthenope dorme, ripiegata su se stessa, nel silenzio di una città immobile, asettica e surreale. I dipinti di Alfredo Troise della collezione Città sospese del 2019 rimandano all’immagine della Napoli odierna al tempo del coronavirus. L’arte, che prefigura e figura una possibilità involontariamente, regala un momento di grande riflessione e introspezione agli sguardi del mondo. Tra sogno e realtà si apre una finestra metafisica e surreale sulla città, crocevia di simboli e sguardi. Visi deformati, occhi che scrutano, strutture cittadine sospese e immobili, vibranti elementi naturali tra scoppiettanti getti di colore e delicati abbandoni onirici, sono gli elementi attraverso i quali Alfredo Troise, artista napoletano nato e cresciuto ad Arzano, prefigura e figura una storia di dolore e inadeguatezza e il tempo si ferma. Raccontando questi giorni, Alfredo Troise si sofferma sull’immagine della periferia nord di Napoli, osserva che i gabbiani non sorvolano più l’entroterra e hanno ceduto il posto alle gazze ladre. “ È un periodo di purificazione per la città, ma anche una possibilità per una presa di coscienza da parte dei napoletani, che spesso sono distratti dal troppo rumore.” Alfredo paragona Napoli a una pentola di Ragù che bolle e ribolle continuamente: “lavorare a Napoli e tornare al mio studio in periferia svuota, toglie energia, stanca”, questo disturbo, rumore di fondo, nel periodo di attesa che viviamo, si è smarrito e tale perdita può aprire la via a nuovi scenari positivi. La città è rappresentata da Alfredo Troise attraverso un’immagine, che ne evoca la contraddizione ma anche la speranza e la grandezza: “la città somiglia ad un enorme parco giochi, un vorticoso giro sulle montagne russe. È senz’altro divertente ed emozionante il turbinio di emozioni che si vivono, ma per guardare in faccia la Napoli vera e libera dalla frenesia carnevalesca, bisogna scendere dalla giostra e osservare con occhi nuovi. Napoli oggi non ha perso il colore” e come l’artista in questo periodo, in cui sente ancora più dirompente l’anima della città, si avvicina a una nuova forma espressiva, trasformando i colori in parole, così i napoletani aprono nuovi spiragli di sopravvivenza nei diversi quartieri di Napoli, dove troviamo Sergio Siano, fotoreporter napoletano per il quotidiano Il Mattino, a testimoniare  la vita silente attraverso l’obiettivo fotografico. L’incontro telefonico con Sergio Siano avviene a Casale di Posillipo, nessun rumore sullo sfondo; l’intenzione è raccontare come si sta vivendo a Napoli questo momento unico di cambiamento e le reazioni dei diversi quartieri, che sono così lontani tra loro strutturalmente ed emotivamente. Una raccolta di immagini e di emozioni che confluiranno in un libro sui silenzi della città. Abituato a girare tra i rumori e il caos cittadino “sono i silenzi quelli che colpiscono, i passi che riecheggiano, amplificati come se mi trovassi in un luogo al chiuso”, qualsiasi rumore si fa strada nel petto e nell’anima. Il silenzio odierno, spiega, è unico, incomparabile, diverso da quello che ha fotografato fino ad ora, rintracciabile nelle immagini di luoghi dimenticati o poco conosciuti, tra le pagine delle sue precedenti pubblicazioni: L’uovo di Virgilio con Vittorio del Tufo, VicoliCon gli occhi di Caravaggio insieme a  Francesco de Core. Napoli si disvela agli occhi del fotografo come una musica affascinante in sordina, viva nonostante tutto. 

Sergio racconta che “Anche i gabbiani sembrano accorgersene, mentre si guardano smarriti tra loro. La città sembra nuda, ancora più forte sento il richiamo della bellezza che le è propria e le sue ferite appaiono ancora più nitide”. L’eterna endiadi sopravvive, espressa dal canto della sirena, che oggi non è muto ma silenzioso e silenziosamente attrae e ammalia, echeggiando sommessamente tra i vicoli, i palazzi e le piazze. Tutto è surreale, i balconi e le finestre, da sempre crocevia di messaggi verbali e non, sono gli ultimi baluardi per la comunicazione. Eppure il napoletano non è estraneo a quelle storie che si rincorrono tra le voci dei balconi, a quei panieri calati per la spesa, agli sguardi e ai saluti attraverso le finestre. L’episodio che colpisce di più è la colletta del quartiere Pallonetto, per fornire una spesa ai bisognosi, visibile sul sito del Mattino: la paura, la preoccupazione, lo smarrimento, ha chiuso le porte delle abitazioni ma non quelle della solidarietà degli abitanti, che cercano soluzioni improvvisate e fantasiose per aiutarsi tra di loro, rispettando i divieti. Sergio, spostandosi a Marechiaro osserva come il mare, pur essendo calmissimo, fa sentire prepotentemente la sua voce. È tutto chiuso ed è ancora silenzio.

Ecco il viaggio tra arte (i dipinti di Alfredo Troise) e fotografia (le foto di Sergio Siano) che descrive questa insolita e inopinata profezia…

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