«Rinascita Scott», quando un calabrese vuole salvare davvero la sua terra


di francesco de rosa |


Lui stesso l’ha definita «la più grande operazione dopo il maxi processo di Palermo». Il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri sintetizzò così la “sua” operazione Rinascita Scott che ha travolto l’organizzazione delle ‘ndrine nel Vibonese coinvolgendo anche politici, imprenditori, professionisti, collusi e conniventi. Per effettuare gli arresti l’operazione dovette partire un giorno prima dacché i mafiosi con tutti i loro fiancheggiatori (carabinieri infedeli, politici, personale della pubblica istituzione ed altri uomini dello Stato in forze presso il Tribunale) riuscivano a sapere tutti dettagli che erano stati decisi in Procura a Catanzaro contro la ‘ndrangheta e le sue famiglie più potenti. Alla fine il capoclan Luigi Mancuso è stato arrestato su un treno proveniente da Milano e in viaggio verso la Calabria. Su quel treno c’erano gli uomini del ROS che lo hanno seguito fin dal capoluogo lombardo per anticipare l’arresto. Pochi giorni dopo quell’arresto (ed altri trecento avvenuti tutti nella notte del 19 dicembre 2019) sotto il Comando dei Carabinieri di Vibo Valentia, epicentro dell’operazione e luogo della famiglia ‘ndranghetista dei Mancuso, si riunì una folla di calabresi tra sindaci e cittadini comuni per ringraziare l’Arma e il giudice Gratteri. Non era mai accaduto prima in Calabria.

Il processo è iniziato due mesi fa, ad inizio del 2021 e ora in pieno svolgimento e nonostante qualche silenzio mediatico la voce arriva forte e chiara. Di Rinascita Scott ne stanno ora parlando anche i media con inchieste televisive, prima fra tutte perché ben fatta, quella del collega Riccardo Iacona, che fa luce sui filoni, i nomi, le connivenze che il giudice Nicola Gratteri ha fatto emergere, collegato, messo in relazione. A Partire dalla stessa denimazione dell’inchiesta giudiziaria. Così se per Rinascita il significato era già chiaro, Gratteri ha poi spiegato che Scott è il cognome di un agente della Dea che ha trascorso otto anni in Italia a combattere contro le organizzazioni narco – ‘nranghetistiche, poi morto al rientro negli Stati Uniti in un incidente stradale.

Ora Nicola Gratteri vede arrivare in Tribunale a Catanzaro uno dopo l’altro tutti i filoni della sua inchiesta necessaria per colpire la ‘ndrangheta e le sue mille ramificazioni economiche e criminali che ha in tante parti d’Italia. Cinque anni di duro lavoro d’indagine, tredicimila pagine, trenta faldoni e decine di nomi arrestati la notte del 19 dicembre 2019. Così il più grande processo mai realizzato contro la ‘ndrangheta, quello nato dalla maxi inchiesta Rinascita Scott, ha “una sfida nella sfida”: deve essere concluso in tempi ragionevoli e, soprattutto, prima della scadenza dei termini di custodia cautelare, così da evitare la scarcerazione dei tanti imputati attualmente detenuti. A ribadirlo in aula – chiedendo la riunione di due stralci processuali (per il momento) con il maxi procedimento principale – è stato il pm Antonio De Bernardo, spiegando che gli impedimenti logistici sono stati risolti con l’aula bunker che sarà disponibile sei giorni a settimana, con tanto di sanificazione dopo ogni utilizzo. Già perché l’altro ostacolo si chiama pandemia da Covid che condiziona i tempi dei processi. Antonio De Bernardo ha evidenziato, nel suo allarme, come “soltanto davanti al Tribunale di Vibo Valentia ci siano sei tronconi, tre dei quali sono stati discussi il 19 gennaio. Altri tre il 17 febbraio, e per tutti e sei ci sono le condizioni per la riunione”. L’obiettivo è quello di considerare per lo stesso reato di associazione mafiosa, le stesse prove con le stesse parti civili. Il pm De Bernardo è stato chiaro dall’inizio: “Le vicende non sono separabili, sono tutte sullo stesso piano, è inevitabile che venga presa la stessa decisione su tutte e sei”. Basterebbe considerare la mole di documentazione (e di lavoro certosino) che il maxi processo di Catanzaro porta con sé. Un esempio su tutti le 24mila conversazioni da trascrivere per le quali è stata chiesta, come prevedibile, una perizia trascrittiva composta da circa 24mila progressivi, una prova comune a tutti e sei i procedimenti in questione. Lo sforzo è immane, una corsa contro il tempo e contro la pandemia che rallenta. “Nessuno di questi sei processi – ha detto ancora il pm De Bernardo – può terminare prima del completamento della perizia trascrittiva”. Poi un barlume di luce: i tre filoni – il maxi processo principale, lo stralcio con il procedimento immediato, e quello che vede imputati Francesco Cracolici, Giuseppe Camillò e Francesco Barba – sono stati riuniti in un unico procedimento.

Intanto Nicola Gratteri segue con attenzione tutti i passaggi, osserva il regime di protezione assoluta a cui è stato sottoposto. La Calabria delle connivenze, delle logge massoniche, della politica collusa e del crimine organizzato non perdona. Lo sanno tutti e lo sa pure Gratteri. Ma in questa stessa regione d’Italia c’è anche tanta gente che è stufa di subire il potere malavitoso o di stare in silenzio. E ha compreso che Nicola Gratteri è l’uomo giusto, colui che può invertire il lungo tempo della rassegnazione o, peggio, delle connivenze. Il segnale è arrivato chiaro a tutti come anche il pericolo per il giudice nato a Gerace il 22 luglio del 1958 che lavora da anni per salvare la sua terra mescolando senso civico e determinazione, sacrificio immane e voglia di riscatto, impegno e professionalità assieme come mai visti prima. Il processo va avanti e c’è la concreta possibilità che esso raggiunga il risultato che ci si era dati quando si iniziò a lavorare attorno ad esso.

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