In Portogallo il governo di sinistra sta lavorando da tempo a un piano per introdurre la cosiddetta “settimana lavorativa corta”: quella che prevede che si lavori quattro giorni a settimana invece che cinque, con una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. È una proposta di cui si discute da alcuni anni soprattutto in Europa e che alcuni paesi applicano già in forme diverse o sperimentali. Mercoledì 2 novembre è stato presentato alle varie parti sociali (sindacati, rappresentanti dei lavoratori, politici) il progetto pilota del governo, che è scandito in più fasi a partire da giugno del 2023 e riguarderà sia il settore pubblico sia quello privato.
di paolo del nibbio |
Si tratta di un progetto pilota e per tale motivo perciò il governo portoghese vuole capire meglio come farlo funzionare anche attraverso un esperimento che dovrà dire se la settimana lavorativa corta sia applicabile in modo più sistematico ai diversi settori. Tuttavia non si nasconde che si tratta di un piano ambizioso e strutturato. Così in una prima fase saranno coinvolte solo le aziende che faranno domanda, entro gennaio 2023, su base volontaria e senza sovvenzioni da parte del governo per incentivare le domande (come avviene nelle sperimentazioni di altri paesi): è un modo per verificare che ci sia un effettivo interesse a realizzare il progetto. Tuttavia Pedro Gomes, un economista dell’università di Londra che coordina il progetto, ha tenuto a precisare al País che alle aziende sarà offerto solo «un sostegno per il cambiamento dei processi per migliorare la produttività», ma anche aggiunto che se ci saranno poche aziende partecipanti «sarà un indicatore che non vale la pena continuare la fase successiva».
Nel corso della seconda fase si introdurrà la settimana lavorativa di quattro giorni nel settore pubblico, dove, in generale, la proposta è stata accolta con favore. In una terza fase, invece, verranno sovvenzionate 60 aziende per partecipare al progetto, che faranno parte di uno studio comparativo con altre in cui sarà mantenuta la settimana lavorativa già in vigore (quella dal lunedì al venerdì, per intenderci).
Alcuni dettagli su come verrà realizzata la settimana corta, soprattutto su quante ore di lavoro settimanali saranno tagliate sono ancora punti da dettagliare meglio dacché in Portogallo l’orario di lavoro prevede tendenzialmente 40 ore settimanali, ma ci sono anche settori che ne fanno di meno, e quindi bisognerà capire come applicare la riduzione in alcuni casi specifici. In linea generale, l’orario potrebbe essere ridotto da 40 a 36 ore settimanali, anche se Gomes ha detto che si sta prendendo in considerazione anche la possibilità di arrivare a 34, e che questo limite sarebbe quello che si preferisce.
Come da previsioni, intanto, gli imprenditori portoghesi ritengono in maggioranza che il progetto sia di difficile applicazione. Ecco spiegata la loro ostilità al progetto del quale si sono molto lamentati. Non a caso il presidente della Confederazione che rappresenta la grandissima parte dei datori di lavoro portoghesi, António Saraiva, l’ha definita «inopportuna» e ha detto al giornale Público che dopo gli effetti negativi del coronavirus e della guerra in Ucraina sulle imprese e le famiglie «il paese ha altri problemi che dovrebbero preoccupare il governo». Più categorico ancora il presidente della Confederazione del commercio, João Vieira da Lopes, il quale ha detto che l’iniziativa non può essere applicata in modo generalizzato nel breve periodo. In ogni caso, però, almeno per il momento, l’esperimento comincerà su base volontaria e sarà piuttosto graduale: il modo e i tempi con cui dovesse essere esteso in modo generalizzato verranno eventualmente decisi se le prime sperimentazioni dovessero andare bene.
Sullo stesso fronte si sono mossi anche altri Paesi europei. Tra le sperimentazioni più promettenti in Europa c’è quella dell’Islanda, dove è di fatto attivo dal 2015 un test che ha ridotto l’orario per 2.500 lavoratori a 35 o 36 ore settimanali: sembra che i servizi forniti non ne abbiano risentito e che, anzi, ci sia stata una maggiore produttività. In Spagna sono in corso sperimentazioni con una riduzione da 39 a 32 ore settimanali, mentre in Belgio da quest’anno i dipendenti possono concordare con i datori di lavoro una riduzione da 5 a 4 giorni di lavoro, ma mantenendo lo stesso numero di ore: vedono come va per 6 mesi e poi decidono se continuare. In Francia invece si lavora già 35 ore settimanali, grazie a una legge del 1998: ma gli esiti e i costi di quella decisione sono ancora oggi molto dibattuti. Fuori dall’Europa è stato spesso citato il caso di Microsoft in Giappone, che ha concesso ai lavoratori un giorno libero in più a settimana e ha aumentato la produttività del 40 per cento. Anche la scienza segue con interesse gli effetti di un’idea progettuale che potrebbe portare cambiamenti nella vita di milioni di persone. Così ci si domanda se settimane e giornate lavorative più brevi riducano i malanni da stress e migliorino la produttività. La risposte sono variegate. Dipende poiché a parità di mole di cose da fare, in meno ore si potrebbe verificare un effetto boomerang. Il dilemma è da tempo allo studio di economisti e psicologi del lavoro: grazie alla tecnologia siamo passati dalle 60 ore di fatica settimanale dell’epoca della Rivoluzione Industriale alle 40 ore odierne. Anziché diminuire, la produttività è sensibilmente aumentata, il che ovviamente ha portato a chiedersi se non convenga snellire ulteriormente l’orario.