
Intervenuto ed intervistato su un tema molto attuale del quale ancora se ne parla poco e male, Francesco De Rosa ha voluto delineare i contorni di un malessere dentro il quale giovani e giovanissimi fanno resilienza contro le storture del mondo contemporaneo. Lo ha fatto alla luce del nuovo STADA Health Report 2024 dove si testimonia che di solitudine ne soffre ben il 52% del campione degli intervistati. Secondo quei dati, il 46% pensa che la soluzione sarebbe un rinnovato bilanciamento fra impegni professionali e vita privata, dimostrando il ruolo delle pressioni sociali sul problema. Secondo il report, un fattore correlato alla solitudine appare proprio l’uso dei social: chi vi dedica più tempo tende a sentirsi più solo, rispetto a chi ne limita l’utilizzo. Eppure, la consapevolezza sull’importanza delle nostre abitudini quotidiane resta scarsa, perché solo il 20% dei giovani europei considera un eccessivo uso dei social e video games un fattore di rischio per la solitudine. Questa ha un forte impatto sulla salute globale, correlandosi ad ansia, depressione, ma anche maggiore rischio di patologie cardiovascolari, diabete e demenza.
di valeria corigliano
Impegnato a motivare gruppi di lavoro, a determinare fasi e processi di recruiting dove il nesso tra vita ed occupazione può aprire spiragli o abissi, il giornalista, filosofo e scrittore, ispiratosi agli orizzonti della psicosofia dentro la quale si è formato, seguendo lo stesso dispiegamento dei processi mentali, che più o meno coscientemente, formano ed informano la nostra vita interiore, non ha fatto mancare riflessioni ed un bilancio ai risultati del recente studio sul fenomeno noto come degli hikikomori. “Individui, prevalentemente giovani, che scelgono di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, spesso confinandosi nelle loro stanze per mesi o anni, evitando contatti, non solo con amici e conoscenti, ma anche coi membri della famiglia. Il termine, di origine giapponese, significa letteralmente “stare in disparte”, “isolarsi”. Il fenomeno, inizialmente osservato in Giappone, negli ultimi anni si è diffuso in tutto il mondo, Italia compresa. Gli hikikomori, spesso, mostrano disinteresse per la scuola o il lavoro, preferendo rimanere confinati nella loro stanza, impegnati in attività solitarie. Navigano su internet, giocano ai videogiochi, guardano film o serie TV. Alcuni si dedicano alla lettura o alla scrittura, ma sempre in un contesto di totale isolamento. Oltre all’isolamento sociale, possono avere difficoltà a dormire, a causa dei ritmi sonno-veglia sregolati. «Chiaramente – afferma Francesco De Rosa – occorre compendiare nel fenomeno tutte le sue varianti. La solitudine dentro la quale si sono rifugiati i giovani e giovanissimi delle grandi città come dei piccoli centri deve interrogarci, incuneare nelle nostre vite sicure e consolidate interrogativi non formali e per nulla scontati. Lamentarsi dei giovani, delle apatie che noi adulti percepiamo nei loro comportamenti ci porta su direzioni sbagliate. Il mondo abitato oggi dai nostri figli è quello che abbiamo costruito noi. Siamo in piena rivoluzione tecnologica, il digitale ha pervaso le nostre vite, la nostre abitudini, persino il nostro modo di essere. Si tratta di una rivoluzione epocale che ha cambiato anche le dinamiche che regolano le nostre interazioni. Non è il male contro il bene altrimenti dovremmo dire che l’evoluzione tecnologica è quel male che insidia e distrugge i legami umani. Non è così. Nuovo e vecchio hanno mille legami. Nessun progresso nasce per distruggere ciò che di buono regola l’esistenza delle nostre comunità. Siamo noi e regolare i processi. Se manca questa consapevolezza, e manca soprattutto e di più tra i giovani, veniamo dominati dai processi, dai device che, invece, devono essere al nostro servizio. Intanto più della rivoluzione tecnologica e digitale a fare danno è l’incoerenza degli adulti e del mondo che gli adulti hanno costruito. Un mondo in molti suoi luoghi ipocrita, del tutto falso, per nulla poetico. Corrotto e corruttore. Dove manca del tutto l’esperienza della bellezza, dove la bandiera di una fede, di una nazione, di un’ideologia diventa occasione di guerra. Dove ancora ci si uccide per un chilometro in più da conquistare. Dove gli adulti sono patetici, profondamente bugiardi».
Che cosa propone?
«Non posseggo formule. Lo sforzo deve essere comune. Unire le generazioni. I giovani rispondono ad un disorientamento e anziché annegare dentro un mondo che vive di cinismo, arrivismo, competizione sfrenata, fenomeni da carrozzone mediatico dove il livello culturale è pari a zero, si isolano, creano un mondo, tutto proprio e parallelo, dove sono loro a muovere i fili delle interazioni. Sono fili invisibili e interazioni tra persone lontane. Sicché il problema è che si tratta di interazioni prevalentemente digitali dove spesso si mette in vetrina il falso. Si simula. Si esagera. Ci si scontra. Si urla. Ci si offende. Un dialogo sano e la conoscenza che ne deriva è fatto invece di pazienze che la società dell’usa e getta non compendia. Dobbiamo fare in fretta a cambiare direzione. Smettere di consumare emozioni come fossero lampi».
Trova qualcosa di filosofico in tutto questo?
«Tutto è filosofico. E non lo è alla maniera di una teoria che si ritiene del tutto lontana dalla vita vissuta e pratica, dalla concretezza. Non c’è nulla di più concreto della filosofia. Si tratta di un vecchio pregiudizio che non mi ha mai trovato d’accordo quello di chi dice il contrario. Se vuoi dire che qualcuno è lontano dalla realtà e sta con i piedi sulle nuvole gli dici “vuoi fare il filosofo!”. Chi dice questo non conosce nulla della filosofia. Non l’ha mai conosciuta. Il primo argine che superiamo da quando veniamo al mondo ed iniziamo a capire che mondo è ci trova impegnati a darci un senso. Tutto quello che facciamo risponde ad un senso, è l’obiettivo verso il quale ci muoviamo. Ciò che prima di farlo lo abbiamo pensato. Questo semplice atto è un atto filosofico. Mettiamo in campo la nostra capacità di discernimento, selezioniamo ciò che per noi conta da quello che non ci riguarda, non ci piace. Non voglio ampliare il discorso del tema che lei mi invita a riflettere. La solitudine era un esercizio vissuto dagli anacoreti. Solitudine e socievolezza è il confine dentro il quale scopriamo e viviamo noi stessi. Quella dei nostri figli, spesso esageratamente pessimisti, è di altra natura. Quasi una difesa alle storture del mondo, alla sua complessità, alle sue derive. Occorre andare per intero dentro quelle dinamiche. Non basta guardarle da fuori. Si tratta di ripensare ai modi e ai temi della comunità. Dacché è proprio la comunità che manca nei luoghi in cui viviamo. Le città, i piccoli borghi, i paesi medio grandi e quelli piccolissimi vivono di clan, di solitudini, di persone che si interagiscono solo per un interesse materiale, un lavoro da fare assieme, qualcosa da tutelare che possa portare vantaggio. E invece dovremmo riscoprire e far rinascere di nuove forme il senso dello stare assieme, del fare comunità, del raccontarsi. Ognuno è un’isola dentro le le paure che ha, i sogni, le ambizioni, le preoccupazioni, i labirinti del tempo moderno. Dobbiamo evitare che persino nelle nostre dimore domestiche, tornati a casa la sera, ognuno continua ad essere solo, dentro lo schermo di un telefonino cercando cose del tutto inutili e dialoghi con persone lontane evitando di parlare proprio con le persone più vicine a noi».
Dobbiamo essere pessimisti? Occorre preoccuparci?
«Mai essere pessimisti. Il cammino della storia umana è costellato di insidie. Ma ne siamo usciti comunque fuori. Si tratta di agire assieme: padri e figli, uomini e donne, laici e persone di fede. Dobbiamo rendere il mondo in cui siamo capitati un posto migliore. La luce in fondo al tunnel l’ho sempre intravvista. Tendono alla chiarità le cose oscure. Si disvelano misteri. e ciò che ieri sembrava insormontabile diventa un piccolo muro da scavalcare. Dobbiamo dire ai nostri ragazzi che isolarsi è del tutto inutile. Inaridisce il cuore. Porta tristezza. La comunità quella vera e profonda, invece, è gioia, condivisione, confronto, interazione. Noi siamo nati per costruire mondi nuovi, per darci slancio, per risolvere problemi e trovare soluzioni. Si tratta di capire che la vita è una e rara. E preziosa a qualsiasi età. Che ogni in istante abita l’infinito. Del resto sono secoli che maestra filosofia ce lo dice in mille forme, parole ed autori diversi. Basterebbe solo ascoltare meglio. Le porto un esempio che mi affascina molto in questi mesi. Abbiamo pensato sempre che la notte è buia e che di notte il sole non c’è mai. Nulla di più falso. La luna che in questo momento lei uscendo fuori può vedere nel cielo brilla da impazzire. E brilla unicamente grazie alla luce del sole. Come dire che anche di notte il sole continua a brillare con la luna che vediamo nel cielo nelle sue diverse fasi. Nessuna notte è davvero e del tutto buia».
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